Il racconto dell’esperienza dei giovani tra il 18 e il 24 agosto

E’ la voglia di mettersi in gioco che anima il ritorno dei ragazzi e delle ragazze che, dal 18 al 24 agosto, per il progetto “Giovani sul Campo”, promosso da Caritas diocesana e finanziato dai Fondi 8×1000 della Chiesa Cattolica, hanno vissuto la loro esperienza di volontariato a Napoli.  Dopo le proposte di servizio e di conoscenza che Caritas Napoli ci ha preparato, i timori e le insicurezze iniziali si sono trasformati in maturazione, gratitudine e voglia di mettersi in gioco.
Tra le attività più significative, spicca l’incontro con i giovani del Rione Sanità e con don Antonio Lofffredo, che si sono impegnati per la rinascita e la riqualificazione artistica del quartiere. Una vera testimonianza di riscatto sociale, che ha riportato in vita chiese lasciate al degrado, come la Chiesa dei Crociferi, dove è nato il Museo permanente dell’artista Jago, e che ha creato cooperative in grado di dare lavoro a un centinaio di giovani. Anche il confronto con don Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, ha lasciato il segno e ha colpito molto i nostri giovani. 
E poi, non da ultimo, c’è stato il servizio alla Mensa Caritas di Piazza del Carmine, che ha rappresentato il cuore pulsante dell’esperienza. I ragazzi hanno preparato e servito pasti a centinaia di persone in difficoltà, scoprendo quanto sia importante il gesto semplice del prendersi cura. “All’inizio avevamo paura di sbagliare, poi abbiamo capito che bastava esserci, con rispetto e ascolto”, racconta uno dei partecipanti.
Tornati a casa, ci s’interroga su cosa portare di tutto questo nella propria parrocchia: portare aiuto concreto agli anziani, migliorare i servizi della nostra Caritas, creare spazi di aggregazione per i ragazzi, promuovere attività sportive gratuite. Alcuni propongono di ispirarsi ai modelli visti a Napoli, dove la comunità si è fatta protagonista del cambiamento.
Nella nostra diocesi esistono già realtà attive, come il doposcuola, l’oratorio con diversi laboratori creativi, l’associazionismo, e gruppi di animatori. Ma l’esperienza ha acceso un desiderio nuovo: essere protagonisti, non spettatori. “La paura di fallire c’è, ma è superata dalla voglia di fare il bene”, scrive una ragazza.
Quando racconteranno ciò che hanno vissuto, i giovani parleranno di Napoli come di una città autentica, dove la bellezza convive con la fragilità. Parleranno della mensa, dei volti incontrati, dei quartieri trasformati. E soprattutto, parleranno di come un viaggio può aprire gli occhi e il cuore. Un’esperienza che non si chiude con il ritorno, ma che continua nel quotidiano, nella comunità, nella scelta di essere luce nel proprio angolo di mondo.

Don Udoji Onyekweli
Vice direttore della Caritas della Diocesi di San Miniato

Un altro finale è possibile

Prima di partire, c’era un vortice dentro di me: curiosità e voglia di vedere, paura e insicurezza, un misto strano che non sapevo come gestire. Non sapevo cosa aspettarmi da Napoli, dalle persone, dalle strade, dalla vita che avrei trovato. Eppure, c’era anche una felicità silenziosa, una speranza di incontrare qualcosa che mi cambiasse. Ogni dubbio era una porta chiusa che desideravo aprire.
Quando sei immerso in un mondo così vivo, pulsante e complesso, capisci quanto le emozioni siano il vero terreno di scoperta. La prima volta che ho messo piede nella Mensa del Carmine ho sentito un nodo allo stomaco: la paura di sbagliare, di non sapere come relazionarmi con chi mi stava di fronte.

Ma quell’ansia si è sciolta giorno dopo giorno, lasciando spazio a qualcosa di più grande: gratitudine, meraviglia, senso di appartenenza. Preparare un pasto, servire un piatto caldo, scambiare uno sguardo o un sorriso con persone che vivono realtà così diverse dalla mia, mi ha fatto sentire parte di qualcosa che va oltre me stessa. Ogni gesto, ogni parola, ogni sorriso, ogni abbraccio ricevuto era un piccolo insegnamento: aiutare non è solo dare qualcosa, è riconoscere il valore dell’altro e, in quel riconoscimento, trovare il proprio.
Ci sono abbracci, come quello che ci ha detto l’Arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia, che parlano senza bisogno di parole. Ce ne sono di diversi tipi: l’abbraccio che manca, quello che ti sorprende e ti riempie il cuore, e infine l’abbraccio che ti cambia, che lascia un segno profondo e ti fa vedere il mondo con occhi diversi. Durante questa settimana a Napoli ho sentito tutti e tre: il primo, quello che mancava, è stato l’incontro con una realtà lontana dalla mia quotidianità, una vita che non conoscevo e che improvvisamente mi ha toccato; il secondo, quello che sorprende, è stato il calore umano dei ragazzi, dei volontari e delle persone che ci hanno accolto, così semplice e genuino da commuovere; il terzo, quello che cambia, l’ho sentito nei gesti piccoli ma potenti, negli sguardi di chi affronta difficoltà con coraggio e speranza, insegnandomi che la vera trasformazione nasce dall’empatia e dalla presenza sincera.
Questi abbracci, pur diversi tra loro, hanno in comune la capacità di insegnare, di connettere e di trasformare. Non sono solo gesti fisici, ma esperienze che rimangono dentro, che ci ricordano quanto sia importante tendere la mano, ascoltare, accogliere e lasciarsi toccare dal mondo che ci circonda. Ogni incontro, ogni sorriso, ogni gesto condiviso è diventato una lezione di vita, un invito a portare con noi quella stessa vicinanza e attenzione nella quotidianità, ovunque ci troviamo.

Non sono stati solo i gesti a colpirmi, ma anche le storie. Camminando tra le strade di Napoli, ho sentito quanto le persone possano contribuire al cambiamento solo attraverso la loro presenza, la loro determinazione e la capacità di credere in qualcosa di più grande di sé. Ho visto ragazzi trasformare un quartiere, creare opportunità e coltivare speranza in luoghi dove la vita non sempre sorride. Questo mi ha fatto riflettere sul potere delle piccole azioni: ogni gesto, anche minimo, può avere un effetto a catena, perché la forza di una comunità nasce dalla volontà di ognuno di contribuire. Ho compreso anche che il cambiamento non è sempre visibile dall’esterno: spesso si costruisce lentamente, giorno dopo giorno, con costanza e pazienza. Ogni pasto servito, ogni parola di incoraggiamento, ogni sorriso condiviso è un mattoncino che aiuta a costruire qualcosa di solido. E in quel silenzio, fatto di attenzione e cura, ho imparato a guardare oltre le apparenze, a percepire la bellezza che si nasconde nelle persone e nelle loro storie.
Tornare a casa è stato dolce e amaro insieme. Dolce, perché porto con me un bagaglio pieno di nuove prospettive e consapevolezza; amaro, perché lasciare persone ed esperienze che ti hanno cambiato il cuore non è mai facile. C’è una malinconia che pesa e, allo stesso tempo, una gioia profonda: quella di sapere che sei cresciuto, che sei maturato, che ogni paura iniziale è stata sostituita dalla certezza di aver vissuto qualcosa di unico.

Questa esperienza mi ha insegnato che il mondo è fatto di fragilità e forza insieme e mi ha fatto capire quanto sia importante osservare, ascoltare e mettersi in gioco senza paura. Mi ha ricordato che il mondo è complesso, sì, ma anche straordinariamente umano. Che le storie delle persone che incontriamo, anche per un attimo, possono trasformarci. Che un altro finale è davvero possibile e che un cambiamento, piccolo o grande, avviene solo se ci metti cuore e volontà.
Oggi so che voglio essere protagonista di quel cambiamento. Nonostante le paure, nonostante l’incertezza, voglio contribuire, creare legami, dare il mio tempo e il mio impegno. Perché ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola può accendere qualcosa negli altri e in noi stessi.

Marta Mazzantini


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