
Albania: l’abbandono e la povertà si combattono con l’amore
Il racconto di due giovani volontarie di Caritas Diocesana, che in questi giorni hanno vissuto un’esperienza nelle opere segno delle Suore Figlie della Carità
L’Albania è entrata nella storia della nostra Caritas diocesana l’estate scorsa, quando un gruppo di giovani del territorio, accompagnati dal direttore don Armando Zappolini e dal vice direttore don Udoji Onyekweli, all’interno del Programma del Progetto “Le 4 del Pomeriggio”, ha vissuto un’esperienza di conoscenza e di approfondimento nel vissuto del Paese e nelle opere delle Suore delle Congregazione Figlie della Carità di San Vincenzo De’ Paoli. Da allora il legame tra la realtà di Caritas e quella delle Suore ha preso forma, diventando ancora più forte e significativo, grazie a una partnership per il sostegno al centro diurno per bambini e ragazzi di Cerrik, nel distretto di Elbasan, un progetto, nato dalla collaborazione tra Caritas Albania e Caritas Germania, che ha resistito per quindici anni grazie all’amore e alla forza delle suore e all’apporto fondamentale di operatrici, volontari e volontarie, ma che oggi è messo a dura prova dalla mancanza di fondi.
Nel mese di novembre, Suor Camilla Maenza, responsabile del progetto, ha fatto visita alla nostra Diocesi, che, durante l’avvento, ha voluto organizzare una raccolta per il Centro. Le persone che hanno ascoltato Suor Camilla dare la sua testimonianza hanno potuto toccare con mano la situazione di povertà e di disagio della zona dove le suore operano, tra Cerrik, Lumas e Mollas, nel sud dell’Albania. Quando si arriva in questa terra si ha l’impressione che il tempo si sia fermato, si percepisce l’assenza di tutto, un nulla “cosmico” lasciato da mezzo secolo di dittatura e perpetuato dallo Stato attuale, che poco fa per salvare il Paese dall’abbandono totale e dai flussi emorragici della migrazione, iniziata nel 1991, con il carico della nave Vlora, approdata a Bari. E da allora che le Figlie della Carità sono in Albania, sono venute ad aiutare chi è rimasto e con grandi difficoltà, ma anche con grande determinazione, hanno creato opere a sostegno delle fasce più deboli: bambini e bambine, ragazzi e ragazze, donne e anziani.
Da quando le conosciamo, abbiamo capito che il nome più giusto per loro è “Figlie dell’Amore”. E’ questo amore che ci ha spinto verso di loro e che oggi ha spinto Caritas diocesana a continuare questo legame, attraverso un progetto di promozione al volontariato giovanile, presentato all’interno della programmazione dei Fondi 8×1000 della Chiesa Cattolica, che anche quest’anno porterà un gruppo di giovani a fare un’esperienza di servizio in Albania, accanto a Suor Camilla e alle sue consorelle.
Il gruppo sarà seguito da vicino e accompagnato da due giovani volontarie Caritas, Anna Chiara Sorbello e Giulia Badame, che dal 19 al 21 febbraio hanno fatto un’esperienza formativa nel distretto di Elbasan.
Lasciamo a loro il racconto di questi giorni.
In questi pochi giorni abbiamo osservato tutto quello che le Figlie della Carità fanno per le persone che vivono qui. Abbiamo assistito alla festa per i quindici anni del Centro diurno di Cerrik, dove i bambini e i ragazzi di una delle zone più povere dell’Albania possono passare dei momenti di aggregazione, coltivando non solo l’aspetto educativo ma anche quello affettivo.
Ci siamo confrontate con le donne di Lumas, che si ritrovano abitualmente con suor Pia per poter vivere dei momenti solo per loro, lontane dalle situazioni stressanti legati alla cura della famiglia e del lavoro, che in Albania è una rarità.

Siamo state anche alla casa famiglia di Mollas, dove suore e volontari vivono insieme a sette bambini e bambine, con un’età che va da pochi mesi agli 11 anni. Si trovano in casa famiglia a causa delle situazioni difficili vissute nelle loro famiglie biologiche, situazioni di abbandono, anche se a volte le madri non sono sparite del tutto, ma sono carenti di vere e proprie capacità genitoriali.
A Mollas esiste un’unica grande famiglia composta da zia Rosaria, zia Camilla, zia Pia, zia Elisabetta, zia Carmelina, zia Barbara. Le suore si fanno chiamare così per non sostituirsi completamente ai genitori naturali dei bambini, ma si prendono completamente carico della loro salute, della loro educazione e della loro crescita sia emotiva sia spirituale.
I bambini di Mollas e i ragazzi di Cerrik, senza le suore molto probabilmente non avrebbero prospettive per il loro futuro. Negli anni molti di questi bambini e ragazzi sono cresciuti e hanno potuto frequentare corsi universitari e professionalizzanti.
Da quest’anno, la casa di Lumas, dove stanno Suor Camilla e suor Pia, ospita ogni mattina una classe della scuola materna comunale frequentata da una ventina di bambini e bambine che vengono dai villaggi vicini. La scuola è l’unica della zona ad offrire un pasto caldo ogni giorno, prima del rientro dei i bambini a casa. Un pasto caldo non è una cosa così scontata per questi bambini. Le suore ormai hanno imparato a conoscere i loro gusti, cucinano pasta e patate, come delle vere nonne del sud.
Un aspetto difficile da affrontare per le suore e i volontari e le volontarie, è il cambiamento della mentalità presente sul territorio. La fine del regime si è portata dietro generazioni che vivono i legami affettivi con enorme vergogna e diffidenza, che vedono l’amore come un sentimento difficile da esprimere e che viene trattato con grande pudore. Spesso i genitori dei bambini e dei ragazzi seguiti concentrano tutte le loro energie nel sostentamento alle famiglie, trascurando l’aspetto più emotivo. Chi oggi è diventato genitore è stato cresciuto con pochi abbracci e quasi mai ha sentito le parole “ti voglio bene”, e, forse anche involontariamente, ha proiettato la stessa dinamica sui loro figli, che, di contro, sperimentano l’amore infinito delle suore, anzi delle loro zie, e se ne stupiscono. L’obiettivo è spezzare questa catena generazionale e formare giovani in grado di amare liberamente e di esprimere i loro sentimenti di fronte agli altri, senza vergogna.
Le Figlie della Carità sperano proprio che i ragazzi che adesso sono al centro di Cerrik possano prendere a cuore questa realtà e diventare, un giorno, loro stessi, educatori e responsabili, portando avanti nel tempo un meccanismo virtuoso, che ha come carburante l’amore verso il prossimo, così come è successo con Marsela, Vera e Jeta, animatrici ed educatrici al centro diurno, che continuano a considerare le suore le loro zie.
Non ci si può fermare, una volta iniziato il processo di cambiamento, i bambini e i ragazzi vanno sostenuti sempre e comunque, a volte anche con rigidità, ma mai senza amore. Suor Camilla dice che il rischio è che quelli di loro che si fermano, non solo smettano di andare avanti, ma retrocedano. Parole dure ma veritiere, perché non c’è alternativa, né prospettiva di crescita o di formazione scolastica, per chi lascia il centro e torna in strada, nell’abbandono totale.
Tra queste persone, c’è anche chi viene da lontano e che ha deciso di rimanere a dare una mano. Come Daniele, un ragazzo del Friuli, che dopo aver conosciuto questa realtà ha lasciato il lavoro e ha deciso di trascorrere un anno nella casa famiglia di Mollas.
Anche se sappiamo che fra qualche mese torneremo, fra il calore delle sorelle e gli abbracci dei bambini, tutto questo ci manca di già.. Qui è come un’oasi nel deserto, un microcosmo di amore, nel quale da qualsiasi contesto o Paese si provenga, ci si sente sempre a casa.
Giulia Badame, Mimma Scigliano, Anna Chiara Sorbello